
Ancora pane. È questa volta in territorio pagano che avviene una seconda moltiplicazione dei pani, con numeri emblematici: 7 sono i pani, 4.000 i saziati, 7 le ceste di avanzi. Vediamone il significato simbolico.
Il quattro è numero cosmico, che indica l’universalità degli uomini. Sette secondo i rabbini sono i precetti che Dio ha dato all’umanità. Settanta sono i popoli del mondo (cfr. Gn 10,2-31) e le lingue parlate dagli uomini. Questi numeri parlano chiaro: se nel precedente episodio i numeri 5 (Pentateuco) e 12 (le tribù di Israele) erano le cifre del popolo dell’alleanza, questa volta il numero 7 regna sovrano a designare i popoli del mondo, i goim, insieme al 4, numero cosmico.
Anche la precisazione «alcuni fra loro sono venuti da lontano» (8,3) sembra alludere ai pagani. Infine, una vera finezza di linguaggio: qui il verbo che esprime le parole di ringraziamento sul pane è il greco eucharistéo (8,6), rendere grazie, che ha originato nel mondo greco il termine Eucaristia che anche noi abbiamo adottato. In Mc 6,41 invece abbiamo trovato euloghéo sottostante all’ebraico barak, benedire. Vedete come sia importante anche entrare nello spessore delle parole originarie, per cogliere maggiormente il senso di quello che ci viene detto?
È evidente: se nel capitolo 6 abbiamo avuto l’eucaristia degli ebrei, qui adesso abbiamo l’eucaristia dei pagani. Come a dire: di questo Pane ce n’è per tutti, non abbiate timore…
Ancora pane: la richiesta del segno
Gesù torna sull’altra sponda del lago, in terra d’Israele, trovandovi una fede minore. Non basta la potestà di Gesù dimostrata ormai in mille modi, i farisei vogliono anche che faccia scendere la manna dal cielo. La loro domanda di un segno ha implicitamente questo senso: a livello popolare si riteneva che il Messia avrebbe condotto il popolo nel deserto e avrebbe replicato per esso la discesa della manna.
Ma la risposta di Gesù è negativa: una fede condizionata da prove non è fede. «Per chi ha fede nessuna prova è necessaria, per chi non ha fede nessuna prova è sufficiente», ha scritto il grande romanziere Franz Werfel, autore, lui ebreo, del celebre e bellissimo romanzo Bernadette sulla vita di santa Bernadette Soubirous e le apparizioni di Lourdes.
Per questo Gesù rifiuta di dare un segno, mentre nel passo parallelo del vangelo di Matteo (16,1-4) il segno ci sarà, e sarà il segno di Giona: la resurrezione al terzo giorno. Se la generazione che chiede il segno non è disposta alla conversione, Dio non darà alcun segno materiale. Per questo la risposta in Marco è del tutto negativa: il cielo resta chiuso per la generazione incredula, nessun segno ne discenderà. L’unico grande segno nel Vangelo di Marco sarà la resurrezione, contro il diffuso desiderio di miracoli e di ricette per la felicità.
Ancora pane: il lievito dei farisei
Gesù mette in guardia anche contro la fede dei farisei, una fede che non è pura, «azzima»: è corrotta dal lievito. Il lievito fa crescere e rende soffice la massa del pane, ma è anche un germe di corruzione. La cecità del potere politico (Erode) e della tradizione umana (farisei) corrompe il popolo di Dio.
Tuttavia, esiste il lievito buono che fa crescere la comunità, il pane che Gesù ha dato in abbondanza, tanto da produrre 12 ceste, 7 ceste di avanzi. E i discepoli sono così ciechi da non capire che non si devono preoccupare per la mancanza di pane, quando hanno con i loro occhi visto colui che nutre il mondo… Pensano al pane che non hanno, e non a quello che Gesù ha dato, caparra di vita eterna.
«Non comprendete ancora?» (8,21). Il brano si chiude su questa domanda cui i discepoli non danno risposta; ma attraverso la loro testimonianza la domanda giunge a noi e ci interpella. Nell’esperienza sacramentale condividiamo il dono del pane, facciamo esperienza della comunione con il Crocifisso risorto, e ancora stiamo a pensare a quello che ci manca piuttosto che a quello che riceviamo? Questa domanda è anche per noi, ci sollecita.