Il più antico profeta “scrittore” (nel senso che è rimasto un libro con i suoi oracoli) è Amos, VIII secolo a.C., Regno del Nord, la parte più prospera e più popolosa del paese. Ma il benessere porta consumismo e rilassamento dei costumi. Dall’Assiria, il re Tiglat-Pilèzer III organizza un forte esercito e crea un grande impero, minacciando Damasco e la Samaria e rendendoli vassalli. I due regni, insieme a Tiro e ad altri piccoli stati, si alleano per ribellarsi all’Assiria. Gli Assiri occupano definitivamente tutto il territorio, deportandone le popolazioni (721), impongono il tributo a Giuda e nel 701 con Sennacherib giungeranno ad assediare Gerusalemme, ritirandosi da essa solo all’ultimo momento.
I profeti dell’VIII secolo a.C.
In questo quadro storico, 100 anni dopo Elia, operano quattro grandi figure di profeti, Amos, Osea, Michea, Isaia, i primi due nel regno del nord, gli altri due in Giuda.
Paragonando le fonti che ce li presentano a quelle di cui disponiamo per i profeti precedenti, balza agli occhi una novità: mentre per Elia e per Eliseo i testi sono esclusivamente narrazioni in prosa, per i profeti dell’ottavo secolo la parte narrativa è singolarmente ridotta ed al suo posto sta in primo piano una raccolta di detti che si succedono, apparentemente senza ordine alcuno. Il discorso profetico è solitamente poetico, disposto secondo regole di ritmo e di parallelismo.
Per Elia ed Eliseo abbiamo quasi solo raccolte di fatti, e sarebbe un errore rappresentarci semplicisticamente il vero Eliseo secondo questi racconti popolari dei suoi miracoli. Se avessimo di lui una raccolta di detti, una traccia della predicazione che teneva davanti a cerchie di discepoli (2 Re 4,38: “i discepoli dei profeti erano seduti al suo cospetto”; cfr. 6,1), probabilmente avremmo un’immagine del tutto diversa.
Solo con Amos si è iniziato a considerare separatamente i detti dei profeti ed a metterli per scritto, spostando anzi su questi l’attenzione. Con ciò non si è tolta importanza alle parti narrative, in quanto il messaggio profetico non è mai stato visto come una verità ideale astratta, ma come una parola incarnata in un preciso momento storico. Ma l ‘interesse che si poteva avere per queste “vite” dei profeti non era mai di genere biografico come un lettore moderno potrebbe supporre. Il profeta non è visto come un personaggio umano, ma come un uomo che esercita un particolare ufficio, perciò le sue vicende interessano solo in quanto incidono in esso, e la nostra curiosità resta delusa.
Un video di presentazione del profetismo QUI.
Il profeta Amos
Amos, il primo profeta i cui oracoli siano stati raccolti in un libro, era originariamente di Tekoa, presso Gerusalemme, ma esercitò il suo ministero profetico nel regno del nord, probabilmente per un breve periodo (intorno al 760 a.C., durante il regno di Geroboamo II): un’unica località viene menzionata nel testo come legata alla sua attività, il famoso santuario di Betel.
L’estrazione sociale di Amos era popolare, contadina, possidente o bracciante che fosse; in 1,1 è detto NŌQĒD, pastore; in 7,14 egli si definisce BÔQĒR, mandriano e raccoglitore (o meglio “incisore”) di sicomori (frutti selvatici che servivano da foraggio se incisi per farne uscire il succo amaro che contenevano), e si fa notare per la durezza del suo linguaggio.
Il fulcro del suo messaggio è la giustizia sociale: il peccato che Amos denuncia con più violenza è l’ingiustizia che regna a tutti i livelli nei rapporti sociali. Il suo compito di denuncia non si arresta neppure dinanzi ai più potenti; egli annuncia la morte di spada del re come castigo di Dio. Per questo viene accusato dal sacerdote del santuario di Betel, Amasia, e presumibilmente espulso da Samaria (7,10-17). Ma Amos non si arresta, perché non è profeta di professione, un mestierante. “Non sono profeta, né figlio di profeta” (7,14). La parola di Dio lo spinge, potente come il ruggito di un leone. “Il leone ha ruggito, chi non tremerà? Il Signore Dio ha parlato, chi non profeterà?” (3,3-8).