
Di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=110733067
La tradizione ci consegna i nomi di tre beati maremmani, il beato Ambrogio da Massa, con i beati Bernardo e Giacomo, che nella prima metà del Duecento abbracciarono la regola francescana nel convento di San Francesco a Massa di Maremma: insieme a San Cerbone, sono i cosiddetti «santi protettori massetani», ritratti nella prima metà del Seicento da Raffaello Vanni in una bella tela conservata nella chiesa di S. Francesco a Massa.
Nel Duecento, in piena rilassatezza di costumi, vi fu una straordinaria fioritura di santità, con la nascita degli ordini mendicanti. Ogni epoca riceve le risposte a ciò che chiede.
Il beato Ambrogio è quello del quale abbiamo più notizie grazie ad un documento del 1240 che si conserva nell’Archivio di stato di Orvieto, città ove Ambrogio morì con fama di santità. Si tratta dei verbali – redatti in latino – degli interrogatori di molteplici testimoni a proposito della sua vita e dei miracoli verificatisi dopo la morte, raccolti al fine di ottenerne la canonizzazione.
Il beato Ambrogio da Massa

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Ambrogio era nato al Cotone nella Maremma grossetana, nel territorio comunale di Scansano, ed era entrato nel clero diocesano. Conduceva però una vita riprovevole, finché, nel 1222, si sentì chiamato ad una vita più ascetica dalla predicazione di uno dei primi compagni di san Francesco, il beato Morico di Assisi. Continuò ancora per tre anni a svolgere il ministero sacerdotale in Maremma, come pievano della chiesa del Cotone presso Scansano, ma nel 1225 distribuì tutti i suoi beni ai poveri e scelse di vestire l’abito dei Minori nel convento di San Francesco a Massa, accolto da quello stesso Morico che ne aveva incoraggiato la conversione.
Dal convento di Massa prese l’appellativo che lo distinse, essendo nato in tal luogo alla vita francescana: «veden[d]osi da lui Ambrosio già maturo per la religione alla quale aspirava gli permise che vestisse il suo abito de’ minori nel convento della città di Massa di Toscana, ch’era il più vicino, e dove con straordinaria allegrezza con la direzione di dui frati datigli da fra Morico fece della pieve e del patrimonio la necessaria rinunzia, e fin da quell’ora Ambrosio di Massa fu chiamato, secondo il costume che ancora oggi si osserva di chiamarsi i frati dal luogo di quel convento dove la figliolanza acquistano» (manoscritto del 1240 sopra citato).
Visse altri 15 anni, dedito alla preghiera, alla penitenza con frequenti digiuni, all’umiltà, alla devozione mariana, alle opere di carità soprattutto verso gli infermi, frati ma anche secolari: «saecolaribus pauperibus infirmantibus prout poterat subveniebat ita quod de proprio loco ad eos accedebat cum suis medicaminibus ut eorum vulnera alligaret (Aiutava per quanto poteva i secolari poveri ammalati, tanto che dal proprio convento andava da loro con i suoi farmaci per fasciare le loro ferite). Cucinava per i confratelli, lavava le stoviglie, usciva per la questua…
Frate Tobia, compagno di Morico nella predicazione in Maremma, al processo per la beatificazione attestò di aver sentito raccontare da Ambrogio una sua visione celeste in cui tra l’altro gli viene annunziata, con precisione, la morte. Il compagno gli chiede se ha visto San Francesco: «No», risponde Ambrogio. Gli chiede allora se ha visto un angelo: «Frater, nimis interrogas – rispose – chiedi troppo».

Il tondo, purtroppo deteriorato nella parte superiore, ha lo stile di Giovan Battista da Pistoia, aiutante di Gerino da Pistoia (1500). Il cartiglio è ben leggibile
In seguito frate Morico, chiamato a svolgere il suo apostolato ad Orvieto, portò Ambrogio con sé. E qui Ambrogio morì il 17 aprile 1240 e presso la sua tomba, nella chiesa di san Francesco, avvennero numerosi prodigi (il Pisano, nel De Conformitate, elenca 47 guarigioni, 7 resurrezioni e molti altri miracoli) riconosciuti nel 1241 da Gregorio IX, che aveva provveduto ad inviare anche a Massa il vescovo di Orvieto e quello di Sovana perché si informassero di vita, morte e miracoli del frate massetano.
Nel dormitorio del convento della Verna, il ciclo di tondi affrescato da Gerino da Pistoia ed aiuti lo ritrae in preghiera; il cartiglio recita:
«B. Ambrosius de Massa, humilitate precellens,
per Gregorium IX miracula eius aprobata santo fine quievit»
(Il Beato Ambrogio da Massa, eminente in umiltà, si addormentò in una santa fine e i suoi miracoli furono approvati da Gregorio IX).
Gregorio IX, però, morì troppo presto, il 22 agosto dello stesso anno, perché potesse procedere alla canonizzazione, e la sua causa cadde. Nel 1250 Innocenzo IV tornò ad occuparsi di Ambrogio, ma fu Alessandro IV a sancirne in certo modo, pur senza una canonizzazione ufficiale, la santità, autorizzando nel 1257 la traslazione solenne del suo corpo, e questo non ostante l’interdetto che gravava sulla città.
Il Beato Ambrogio è ricordato nel Martirologio francescano il 10 novembre.
Il beato Giacomo e il beato Bernardo
Degli altri due beati massetani le notizie sono scarne. Sappiamo che il convento di Massa Marittima fu abitato verso il 1238 anche dal beato Bernardo da Massa che fu ivi sepolto, e dal beato Giacomo di nobile famiglia massetana, che fu compagno di S. Francesco e il cui corpo si venera in Città di Castello. Visse al tempo del generale Giovanni da Parma e fu frate laico; per tutta la vita perseguì la santità, tanto che persino i primi compagni di S. Francesco, Egidio, Lucido, Ginepro, dicevano di non aver conosciuto uomo più santo di lui e altrettanto favorito di rivelazioni celesti. Morì nel 1250. Si ricorda il 5 dicembre.
Il Gabbrielli scrive semplicemente:
«Questo convento di S. Francesco ha avuto ancora il Beato Giacomo nobile massano, che non si sa il casato; fu questo servo del Signore laico e compagno di S. Francesco…
Ha avuto ancora il Beato fra Bernardo sacerdote quale è sepolto in questo convento di S. Francesco di Massa, che tanto in vita quanto in morte, diè saggio co’ suoi miracoli della sua santità»
(Antica città di Massa, di Agapito Gabbrielli, Grosseto 1881).
I tre beati sono ritratti nella tela di Raffaello Vanni nella chiesa di S. Francesco insieme a S. Cerbone con le immancabili oche: una pittura molto importante per le memorie di santità locale.
Francescanesimo in Maremma

La Provincia toscana era stata istituita da san Francesco nel 1216; mentre per la Toscana centro-settentrionale i centri di riferimento, con le relative «Custodie», furono Firenze, Lucca, Siena, Arezzo e Pisa, la Custodia che comprendeva Massa fu denominata «Marittima».
La Maremma, che si estende nella zona costiera tirrenica e per una trentina di chilometri all’interno, come dice Dante, «tra Cecina e Corneto [Tarquinia]» (Inf. XIII,9), vide nascere nel primo secolo francescano i conventi di Massa Marittima (1221), Grosseto (post 1230), Piombino (fra il 1256 e il 1260), Castiglione della Pescaia (1260) e Suvereto (1288), e successivamente quelli di Montieri e Campiglia Marittima.
Nel corso del Quattrocento, i frati dell’Osservanza di S. Bernardino si insediarono nei conventi di S. Cerbone all’isola d’Elba, Massa Marittima, Grosseto, Scarlino.
Il primo convento francescano di Maremma fu proprio quello di Massa Marittima, fondato ancora vivente San Francesco. Al di là delle notizie in parte leggendarie sul passaggio dal luogo di san Francesco e di san Bonaventura, verso il 1220-1225 i frati minori erano già presenti a Massa Marittima, dove aveva vestito il saio francescano il beato Ambrogio.
Il convento di Massa ospitò forse S. Bonaventura e sicuramente S. Bernardino che ne frequentò la chiesa nei suoi primi 11 anni di vita e che vi concluse la sua attività di predicatore con il Quaresimale del 1444 (morirà poco dopo, all’Aquila, il 20 maggio dello stesso anno).
In Massa il convento francescano mantenne una certa importanza, tanto che per gli statuti del Comune il padre guardiano custodiva il bossolo contenente le schede dei nomi dei cittadini destinati a far la nomina del podestà, del suo vicario, del giudice degli appelli e dei nove Anziani. Al momento stabilito doveva portarlo nel Palazzo pubblico e lì, alla presenza degli Anziani, estrarne le schede prescritte per ogni nomina.
Per il resto, le notizie sono scarne. Nel 1461 vi fu tenuto un Capitolo. Nel Tre – Quattrocento si ricordano in particolare, come frati dotti in teologia e di vita esemplare, Francesco da Massa nominato vescovo di Corinto nel 1349, Guglielmo da Massa vicario della provincia toscana nel 1400 e vicario generale e commissario di tutta Italia nel 1432, e Antonio da Massa, trentunesimo generale dell’Ordine nel 1424, e vescovo di Massa nel 1430 dopo essere stato legato pontificio presso l’imperatore Emanuele II Paleologo. Da Massa si recò nel 1431 al concilio di Basilea come legato dell’imperatore di Costantinopoli.

Il convento, soppresso da Leopoldo I nel 1782, fu concesso al vescovo Vannucci perché vi fosse trasferito il seminario vescovile.
Fonti:
Bartolomeo Pisano, De Conformitate (1399), in «Analecta Franciscana» IV-V, Quaracchi (Firenze) 1906-1907
B. Mazzara, Leggendario francescano, Domenico Lovisa, Venezia 1722
L. Petrocchi, Massa Marittima: Arte e Storia (1900), reprint Forgotten Books, London 2013
E. Lombardi, Massa Marittima, La Torre Massetana, Parma, s.d.
L. Pellegrini, Insediamenti francescani nell’Italia del Duecento, Laurentianum, Roma 1984
L. Pellegrini, Negotium imperfectum: il processo per la canonizzazione di Ambrogio da Massa, «Società e storia» XVII (1994) 253- 278.
M. Sozzi, Dalla Maremma al Paradiso. Il percorso temporale e spirituale di frate Ambrogio da Massa, nato nel territorio di Scansano, «Le Antiche Dogane», Anno V n. 44 – Febbraio 2003, pp. 12-13
A. Giorgi, Il primo convento francescano in Maremma e tre Beati massetani, «Toscana Oggi» n. 40/2015 pag. V.
La chiesa di San Francesco a Massa Marittima

Secondo la tradizione, San Francesco soggiornò per alcuni giorni a Massa nel 1220. In quell’occasione fu invitato dai maggiorenti a fondare in città un convento, il primo della Maremma. Il convento francescano fu aperto nel 1221 nella parte alta della città, appena oltrepassata la porta che ne prese il nome, e fu affidato inizialmente ad un frate lasciatovi appositamente da San Francesco.

Se la visione della chiesa di San Francesco, da una prospettiva panoramica, è suggestiva, osservarne la facciata riserva una sorpresa: sembra che la chiesa sia stata tagliata per lungo a metà. Ed è proprio così.
In effetti, della chiesa originale del convento, lunga 42 metri, oggi rimane solo una piccola parte, perché demolita in più riprese a causa di cedimenti del terreno avvenuti dagli inizi del XIV secolo. A partire da tale periodo, infatti, fu accorciata varie volte, nel 1314, nel 1441, nel 1541, nel 1765, fino al 1878, quando fu ridotta alla sola abside col transetto. Non per essere irriverenti, ma vista dall’alto sembra avere la forma di un pancarré da cui sia state tagliate parecchie fette… L’interno, invece, pur ridotto al minimo, serba il suo fascino.

All’interno della chiesa si trova l’epigrafe funebre di Bindoccio (+ 1300), figlio di Margherita Aldobrandeschi e di Nello Pannocchieschi, forse marito della celebre Pia de’ Tolomei, immortalata da Dante Alighieri nel V Canto del Purgatorio fra coloro che sono morti di morte violenta:
«Ricorditi di me che son la Pia:
Siena mi fe’, disfecemi Maremma».
Le vetrate, moderne, sono istoriate con scene delle vite di san Francesco, san Bernardino e san Cerbone.

Di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=43432718
La chiesa conserva un crocifisso ligneo degli inizi del Quattrocento e la tela di Raffaello Vanni con l’Assunzione di Maria, san Cerbone e i beati massetani francescani: Ambrogio, Giacomo e Bernardo.
Raffaello Vanni
Raffaello Vanni(Siena 1590 -1657) è stato un pittore italiano di stile barocco.
Dopo aver fatto pratica con il padre Francesco Vanni (+ 1610), fu a Roma, raccomandato da Antonio Carracci; divenne poi seguace di Pietro da Cortona.
Per Santa Maria della Pace dipinse una Nascita della Vergine. Affrescò le lunette della Cappella Chigi nella chiesa di Santa Maria del Popolo; dipinse un Matrimonio mistico di Santa Caterina per l’oratorio di S. Caterina del Paradiso a Siena.
Suo fratello, Michelangelo Vanni, è considerato l’inventore del processo di colorazione delle immagini di marmo.