Il Leitmotiv di quest’ultima sequenza letteraria, che conclude il discorso introduttivo di Mosè (Dt 1-11), è un tema fondamentale: amare Dio (cfr. 6,4-9), in connessione con l’imperativo dell’osservanza dei comandamenti.
«Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio,
se non che tu tema il Signore tuo Dio,
che tu cammini in tutte le sue vie,
che tu l’ami e serva il Signore tuo Dio
con tutto il cuore e con tutta l’anima,
che tu osservi i comandi del Signore e le sue leggi,
che oggi ti prescrivo per il tuo bene?» (10,12 s.).
I precetti e IL precetto: amare Dio
Esistono diversi termini usati dal Deuteronomio per parlare della Legge:
- precetti o comandi: Mizwah (plur. Mizwoth)
- ammonizioni: ‘Edhôth
- statuti: Huqqîm
- decreti: Mishpatîm
- leggi: Torah (plur. Toroth)
- parole: Devarîm
Tutti questi termini si riferiscono ad una pluralità di precetti contenuti specialmente nel Codice deuteronomico (cap. 12-26).
La Legge appare infatti come una molteplicità non gerarchizzata di norme. La tradizione ebraica ne conta 613 (365 precetti negativi, tanti quanti i giorni dell’anno solare, + 248 precetti positivi, tanti quanti le parti anatomiche che compongono il corpo umano: rappresentano la totalità del cosmo e la totalità dell’uomo), con un gran numero, inoltre, di obbligazioni supplementari necessarie ad interpretare concretamente le disposizioni bibliche.
Il cuore della Legge
Di qui la necessità di individuare il nucleo essenziale della Legge, «che cosa ti chiede il Signore tuo Dio» (v. 12). Dando per scontato che i precetti devono essere tutti osservati, se ne scopre il senso profondo unitario nel comandamento principale dell’amore di Dio (6,5), che è IL comandamento unico. Veramente, non è neppure un comandamento, perché l’amore, «a differenza di un preciso comportamento esteriore, non si può comandare, ma solo chiedere, perché esso scaturisce liberamente dal cuore dell’uomo. Il desiderio di Dio (il comandamento) chiama all’amore, ma non può produrlo. Ciò che la legge, nella sua essenza ultima, comanda all’israelita non appartiene allora al regime della legge… È una parola che chiama alla libertà, perché chiama ad amare» (BOVATI, Op. cit., p. 151). Quello che vale in definitiva non è l’osservanza di singole norme o della somma di tutte, ma l’atto di obbedienza a Dio.
Sia il culto unico reso a questo Dio (cap. 4 e 7), sia il precetto dell’amore reso al forestiero (11,18 s.), come pure all’orfano e alla vedova, sono il segno principale che il Deuteronomio riconosce come espressione dell’obbedienza esclusiva, della donazione totale a JHWH «il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e tremendo, che non usa parzialità e non accetta regali» (v. 17), e tuttavia ama i deboli: Israele è stato amato nella sua debolezza, e così deve essere misericordioso verso i miseri.
La circoncisione del cuore
La teologia deuteronomica ci serba, a questo punto, una novità e una sorpresa: l’interiorizzazione della circoncisione (v. 16), che è sì il segno distintivo dei figli di Abramo fra i popoli, ma non rappresenta da sola l’obbedienza alla legge: si appartiene al Signore se si pratica la sua legge di amore. L’amore del povero non è un comandamento fra tanti. È il senso dell’alleanza. A Israele la scelta: benedizione e maledizione sono poste davanti a lui «OGGI» (11,26 ss.), ad un Israele ormai adulto che non può che prendere posizione tra le due vie.