“Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (Atti 2,1). Alle origini delle comunità cristiane

Alle origini delle comunità cristiane
Resti della sinagoga di Meron in Alta Galilea. Una tradizione afferma che quando cadrà l’architrave di questa sinagoga verrà il Messia. Di Claude Reignier Conder (1881) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25588707

Quello che faremo in questo breve intervento alla scoperta della vita delle primitive comunità cristiane è ripercorrere quel che sappiamo sull’argomento risalendo nel tempo al giudaismo ed alle lettere paoline e cercando di individuare i tratti distintivi del cristianesimo delle origini. Per il Giudaismo del Secondo Tempio, vedere l’omonimo saggio di Johann Maier, edizioni Claudiana.

Alle origini delle comunità cristiane: Le fonti neotestamentarie

Riflettendo sulle comunità cristiane delle origini si pensa subito agli Atti degli Apostoli: certo, la Chiesa primitiva è la Chiesa degli Atti. Gli Atti degli Apostoli, infatti, descrivono il cammino del Vangelo negli anni 30-60, anni cruciali per la diffusione del cristianesimo che seguendo, come l’Israele della diaspora, le grandi vie commerciali, portava il Vangelo nelle città.

Atti degli Apostoli

Gli Atti sono una specie di Diario di viaggio dello Spirito Santo, dando un resoconto della crescita della Chiesa – propulsore lo Spirito, appunto – da Gerusalemme alla Giudea, e dalla Samaria agli estremi confini della terra. È questo, in effetti, il piano geografico e cristologico dell’intera opera lucana, che inizia nel tempio di Gerusalemme con l’annunciazione a Zaccaria e termina con la predicazione di S. Paolo a Roma, Caput mundi, cuore dell’impero esteso fino agli estremi confini della terra. Ma gli Atti ci danno un quadro anche troppo dinamico di questo cammino incessante e rapido, il moto veloce del Vangelo, per fermarsi a lungo sul modo di vita delle comunità (con l’eccezione dei primi momenti); ed inoltre non rappresentano la testimonianza più antica, risalendo appena all’anno 80 circa. Il testimone più antico è, veramente, S. Paolo, che scrive verso il 50, solamente 20 anni dopo la Pasqua di Gesù.

Prima degli Atti

Dopo Paolo, viene il Vangelo di Marco e poi quello di Matteo, ma prima di Paolo c’è la vita delle comunità giudaiche.

Gesù di Nazareth infatti non nasce dal nulla, né piomba dal cielo come una meteora, ma affonda le proprie radici in un humus ben preciso. Questo humus è

  • Prima di tutto l’ebraismo biblico: il concetto stesso di Chiesa viene da lì, da quel Qahal che è sacra convocazione, quindi insieme di chiamati e non un club di persone che si ritrovano insieme perché condividono interessi comuni…
  • In secondo luogo, il Giudaismo del Secondo Tempio.

Il Giudaismo del Secondo Tempio

Con l’espressione “Giudaismo del Secondo Tempio” intendiamo, riferendoci ad un periodo storico e culturale preciso, un periodo ed una particolare forma di interpretazione dell’ebraismo biblico, in cui esiste ormai il solo regno di Giuda (dopo la scomparsa del regno di Samaria nel 722-721 a.C.) e il Tempio è stato ricostruito dopo la deportazione in Babilonia, e vive il suo culto fino alla sua distruzione definitiva (515 a.C. – 70 d.C.). È, nella sua parte finale, il tempo in cui ha vissuto Gesù ed in cui è nata ed ha avuto il suo primo sviluppo la Chiesa.

Di questo periodo, sappiamo molto di certe comunità come Qumran, ma non molto delle sinagoghe fino al 70 d.C. Prima del 70, il giudaismo è molto variegato e le comunità sono molto differenziate: non solo si distinguono in Terra Santa le correnti religiose e/o politiche conosciute attraverso i Vangeli e lo storico Giuseppe Flavio, come farisei, sadducei, zeloti, esseni, erodiani, ma a Gerusalemme, ad esempio, si trovano varie sinagoghe corrispondenti ai paesi di provenienza dei vari gruppi di ebrei che vi dimorano.

Non esisteva una forma organizzativa unitaria se non al tempio dove si svolgeva il culto ufficiale. La liturgia sinagogale non aveva carattere pubblico  se non in circostanze particolari come fatti militari o calamità naturali e per il versamento dell’obolo al tempio; sicuramente i frequentanti vi si radunavano il sabato e nelle feste. In questo i primi cristiani si differenziano profondamente perché non hanno luoghi di culto propri, come vedremo.

Ma la religiosità giudaica quotidiana viene vissuta essenzialmente in famiglia: la famiglia era il principale cenacolo di vita religiosa, e il primissimo cristianesimo non si distingue da questo. Non ha luoghi di culto se non il tempio in cui gli apostoli si recano ancora a pregare.

Ebraismo e cristianesimo

Non si percepisce ancora una forte distinzione fra ebraismo e cristianesimo nascente. La separazione definitiva avverrà dopo l’anno 90 e il tardivo Vangelo secondo Giovanni (fine I secolo) ne porta qualche eco:

«I Giudei infatti si erano già accordati che se qualcuno lo avesse riconosciuto come Cristo, sarebbe stato escluso dalla sinagoga» (9,22).

«Pur tuttavia anche fra i capi molti credettero in lui, ma non lo professavano pubblicamente a causa dei farisei, per non venire espulsi dalla sinagoga» (12,42).

Inizialmente la distinzione non era percepita all’esterno, dal mondo pagano, come dimostra l’editto dell’imperatore Claudio dell’anno 49. Secondo Svetonio (Claudio 25), per porre fine ai disordini causati all’interno della comunità giudaica da un certo Cresto, «espulse i Giudei perché erano continuamente in tumulto per istigazione di Cresto» (Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantis Roma expulit). Dovevano esserci tensioni fra ebrei e cristiani, ma Claudio non sapendoli distinguere li espulse tutti; anche se il decreto conobbe probabilmente un’esecuzione parziale e temporanea, visto che la fiorente colonia giudaica a Roma rimase.

Il culto

Il culto cristiano viene direttamente dall’humus ebraico: si pensi anche solo alla Pasqua, alla Cena Pasquale, da intendere biblicamente come Zikkaron = Memoriale, non nel senso sbiadito della nostra lingua in cui rammentare è solo riportare alla mente e ricordare è solo riportare nel cuore, ma nel senso forte ebraico in cui fare memoria è rivivere, attualizzare, rendere presente attraverso la liturgia.

Le immagini, invece, saranno desunte dal paganesimo (ad esempio, il Buon Pastore da Hermes Krioforo). Infatti, mentre l’ebraismo è, e rimane, rigorosamente aniconico, cioè privo di immagini sacre, nel cristianesimo questa preclusione cade, e si segue il bisogno di rappresentare visivamente il sacro. Ciò che non è lecito nell’Antico Testamento, perché Dio non ha figura, diviene lecito nel mondo cristiano, in virtù dell’Incarnazione del Verbo che prende natura umana divenendo visibile:

«Colui che abbiamo veduto con i nostri occhi, colui che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato, cioè il Verbo della vita…» (1Gv 1,1).

Nascono così, sulla base di questi modelli pagani cui viene infusa nuova vita, le testimonianze pittoriche delle catacombe che saranno oggetto di una relazione successiva.