La fantascienza ha ammonito a lungo, nel suo modo fantastico, circa la possibilità di un cataclisma atomico dovuto ad una eventuale guerra nucleare. La fantasia, dicevano Tolkien e Lewis, non è evasione dalla realtà, ma visione divergente, perciò più incisiva, della realtà stessa. Fortunatamente la fantascienza ha sbagliato in questa sua previsione, e la terza guerra mondiale non c’è stata. Ma se ci fosse… Alieno in croce, un romanzo fantateologico di Del Rey – Jones, ne dà una panoramica spaventosa, con uno spiraglio di speranza.
Alieno in croce
Per la fantateologia di Un cantico per Leibowitz: QUI.
Sul pericolo dell’eventualità di una guerra nucleare lanciava un allarme, nel 1978, un bellissimo e poco noto romanzo di fantascienza (anche in questo caso, di fantateologia). Il romanzo era a firma di Lester del Rey e Raymond Jonese si intitolava Alieno in croce (Weeping May Tarry).
Non fate caso al lucertolone raffigurato sulla copertina. Non conta che i protagonisti, qua e là, traspaiano come forniti di creste e di squame, dal che si comprende che sono non-umani; ciò che conta è lo sguardo stupito, prima orripilato, poi commosso e contemplante, che essi rivolgono al simulacro di uno strano alieno inchiodato su due legni incrociati, ultima reliquia di un pianeta che si è autodistrutto in un catastrofico conflitto atomico.
Il punto di vista del narratore è quello dei protagonisti del romanzo, che presentano un pensiero del tutto umano; finché, da accenni sapientemente velati, si comprende che sono una razza evoluta di rettiliani. Così evoluta che hanno scoperto anche l’energia atomica, ma hanno avuto la saggezza di astenersi dall’usarla per distruggersi a vicenda. Il loro pianeta, che essi chiamano Alcor – chi sa dov’è nello spazio intorno a noi -, ha riportato per generazioni conseguenze nocive da forti esplosioni nucleari che hanno devastato una lontana galassia, ed una spedizione spaziale vi viene inviata per compiere rilievi scientifici.
La trama
Non entro nei particolari per non togliere il gusto della scoperta se qualcuno decidesse di leggerlo e riuscisse a procurarselo in biblioteca o nel mercato dell’usato; quel che più importa è che il pianeta originario di questi esseri è riuscito a scampare al conflitto estremo e all’autodistruzione unificandosi in una teocrazia sotto il dominio del Keelong; una teocrazia, però, solo ritualistica e burocratica, senza fede.
La teocrazia arriva ovunque, benché vi sia un moto di dissenso e di rivolta, tanto che a bordo di ogni astronave è imposta la presenza di un Ama, un sacerdote garante dell’ordine costituito, con pieni poteri. Toreg, superbo sacerdote di una teocrazia senza fede, si trova in una situazione di conflitto con il comandante e con l’equipaggio, fino a venire esautorato quando l’astronave precipita su di un pianeta che sospettiamo subito essere la nostra Terra, distrutta da secoli e secoli, forse da millenni, a causa di una terribile conflagrazione autoprocurata. Sopravvivono solo piante e pesci.
L’incontro
Nel corso di ricerche sul territorio, la spedizione trova un orrendo reperto raffigurante un alieno – chiaramente, un abitante del pianeta – inchiodato ad una croce; ma progressivamente i ricercatori vengono attratti dallo sguardo dolce dell’Alieno in croce e dalla sua sofferenza. L’Ama stesso passa, dalla primitiva volontà di distruggerlo, a compiere con lui una dolorosa Via Crucis al termine della quale, stremato, arriverà a stringere una sorta di amicizia con questa figura martoriata ed a desiderare di portarne il messaggio nel proprio mondo: perché, dice il prete alieno al Crocifisso citando il Vangelo che ha imparato a leggere,
«Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore … Ho pure altre pecore che non sono di questo ovile: anche quelle devo condurre, e ascolteranno la mia voce, e si avrà un solo gregge e un solo pastore» […]. Noi di Alcor … e di Kusam, e di Hablu, e di Niami, e di miliardi e miliardi di altri mondi in milioni e milioni e milioni di galassie … Non siamo noi le tue altre pecore? […] Sii il nostro pastore. Permettici di essere il tuo gregge. Il tuo nuovo gregge (Raymond F. Jones e Lester del Rey, Alieno in croce, Mondadori, Milano 1982, 124).
Desiderio di pace
Così pure dirà, del Crocifisso: «Conosce anche noi […]. Ci ha chiamati le sue pecore e ha detto che ci avrebbe portati nel suo gregge … e l’ha fatto […]. Un Keelong [= Dio] per tutti i mondi … e lui li conosce tutti» (Ivi, 130). Un Dio capace di portare la pace non per costrizione, ma per amore.
Questo straordinario libro è di pura fantascienza, con tanto di astronavi, strani pianeti, alieni. Ma non appartiene al genere pulp detto M.O.P. (Mostri dagli occhi di pulce), in inglese BEM (dall’acronimo Bug-Eyed Monster). Tutt’altro. Anzi, scava abbastanza in profondità nella psiche del solenne e inflessibile Ama Toreg con il segreto dolore che si porta dentro, e può addirittura gettare luce sulla universalità della valenza della Croce; ma la riflessione che qui mi interessa è quella sulle conseguenze della competizione fra nazioni e della reciproca capacità distruttiva nucleare.
La corsa allo spazio e Pio XII
A cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, lo spazio, terrestre e non, era concepito come terreno di conquista, ed aveva scatenato una corsa alla Luna fra Stati Uniti e Unione Sovietica, allo scopo di dimostrare ognuno la superiorità tecnologica della propria nazione. La finalità era scientifica, ma anche queste conquiste tecnologiche avrebbero potuto degenerare in applicazioni a scopo militare. Può sembrare incredibile, ma fra gli innumerevoli discorsi e radiomessaggi di Pio XII ne esiste uno rivolto il 20 settembre 1956 alla Federazione Astronautica Internazionale (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVIII, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1957, 459-462), che esprime il naturale stupore e compiacimento di fronte ai progressi scientifici che hanno reso possibili i voli spaziali, e tra l’altro dice:
Il discorso di Pio XII
«Se la ricerca scientifica costituisce adesso il fine immediato che giustifica l’impiego pacifico dei missili, tale utilizzazione rappresenta per voi soltanto una tappa verso una meta più importante, il volo interplanetario […]. Questo grande sforzo di collaborazione internazionale ed il sentimento di adempiere ad un’opera enormemente vantaggiosa per l’umanità vi spingono ad andare avanti con accresciuto ottimismo […].
Non vi sfugga, Signori, che un progetto di tale portata comporta aspetti intellettuali e morali impossibili da ignorare; esso postula una certa concezione del mondo, del suo senso, della sua finalità […]. Se fino ad oggi l’uomo si sentiva, per così dire, chiuso sulla terra e doveva accontentarsi delle informazioni frammentarie che gli provenivano dall’universo, sembra ora offrirglisi la possibilità di rompere tale barriera ed accedere a nuove verità ed a nuove conoscenze che Dio ha posto a profusione nel mondo. Il solo movente della curiosità o dell’avventura non riuscirebbe mai ad orientare correttamente sforzi di tale ampiezza.
Per uno sforzo comune
Di fronte alle situazioni nuove che lo sviluppo intellettuale dell’umanità comporta, la coscienza deve prendere posizione; l’uomo dovrebbe approfondire la propria conoscenza di se stesso e di Dio, per situarsi con maggiore precisione nella totalità del mondo, per meglio misurare la portata dei suoi gesti. Questo sforzo comune dell’umanità intera verso una pacifica conquista dell’universo deve contribuire ad imprimere maggiormente l’impressione di costituire la grande famiglia di Dio, di essere figli di uno stesso Padre […]. Le più audaci esplorazioni dello spazio serviranno soltanto ad introdurre tra gli uomini un nuovo fermento di divisione se non procederanno di pari passo con una riflessione morale più approfondita ed un’attitudine più cosciente di dedizione agli interessi superiori dell’umanità».
Così, niente di meno che un Papa smentisce clamorosamente la vecchia idea degli scrittori di fantascienza che le fedi religiose siano ostili ai progressi della scienza e quindi ai voli spaziali. La visione straordinariamente ampia di Pio XII, che giustamente solleva i problemi etici delle esplorazioni spaziali, è chiaramente antropocentrica e non contempla esplicitamente la possibilità di una vita intelligente nello spazio, fuori dell’umanità. Altri, poi, si sono posti il problema, ma ne parleremo in seguito.
Al di sopra degli inferni contemporanei
Quanto invece alla volontà di un popolo di imporsi sugli altri, alla domanda su quale sia la stirpe dominante, ebbe a scrivere l’intellettuale cattolico Antonio Sacco:
«È la stessa domanda che sulla Terra milioni di persone rivolgono ai loro simili, ma la risposta tuttora è l’apartheid in Sudafrica, il Gulag in Russia e l’uccisione per mani di sicari prezzolati negli Stati Uniti. Come credenziali da esibire a un eventuale visitatore da altri mondi, questi aspetti della realtà odierna non sono certo lusinghieri. Ma è motivo di speranza la condanna morale, che si leva da tutto il mondo civile, contro il tentativo di rendere infrangibili le catene del razzismo e di perpetuare le condizioni di miseria e di inferiorità di larga parte dell’umanità.
A tale speranza anche la science fiction dà un valido contributo, poiché la sua funzione, come affermò Sergio Solmi, è quella «di condurci al di sopra dei ponti, dei corridoi e delle sentine, che vanno facendosi sempre più afosi e chiusi, degl’inferni realistici contemporanei, “a riveder le stelle”» (A. Scacco, Il gioco dei mondi, 1985, p. 90)».