Due lettori d’eccezione hanno, all’epoca, recensito i romanzi di C.S. Lewis a prescindere totalmente dai contenuti religiosi. Uno è, nel 1938, il poeta argentino J. L. Borges, che mostrò un forte apprezzamento per Lewis e per la sua visione degli alieni. Alla vigilia di Natale Borges, già scrittore affermato, ha un incidente che gli accelera la perdita della vista. La sua più grande paura è quella di non poter più leggere e scrivere. La madre gli legge allora per la prima volta un libro, Lontano dal Pianeta Silenzioso, appunto. Con grande commozione riesce a seguirne la lettura come se lo leggesse da solo.
Alieni: Borges e Lewis
Da quel momento si dedica alla letteratura fantastica, espressa soprattutto nella celebre raccolta Finzioni e riprende a scrivere: la sua prima recensione riguarda proprio il romanzo di Lewis, che elogia sotto il profilo letterario insieme a Stapledon come degno continuatore della prima produzione immaginaria di Wells, cogliendone la caratteristica essenziale:
«è un libro psicologico; i tre strani “generi umani” e la vertiginosa geografia di Marte sono meno importanti per il lettore della reazione dell’eroe, che all’inizio li trova atroci e quasi intollerabili, e finisce con l’identificarsi con loro».
Sottolinea anche «l’infinita onestà di quell’immaginazione, la coerente e minuziosa verità del suo mondo fantastico. Vi sono romanzieri che danno l’impressione di riversare in un testo e perfino di esaurire tutto ciò che immaginano; C.S. Lewis ha invece – ne sono certo – più conoscenze su Marte di quante ne registri questo libro. Nei capitoli che descrivono il viaggio interplanetario vi è inoltre una naturale atmosfera poetica. Strano esempio dell’influenza di questi tempi: il rosso Marte, nella invenzione letteraria di C.S. Lewis, è un pianeta pacifista» (Jorge Luis Borges, Testi prigionieri, Adelphi, Milano 1998, 296).
Anche Lewis ha riconosciuto una funzione al proprio apporto alla fantascienza dell’epoca:
«La maggior parte dei primi racconti parte dall’assunto opposto che noi, la razza umana, siamo gli unici ad aver dei diritti, e tutto il resto è mostruoso. Io forse ho contribuito un poco a modificare questo atteggiamento, ma il nuovo punto di vista è abbastanza avanti. Abbiamo, per così dire, perduto la nostra baldanza» (C.S. Lewis, Altri Mondi, 147).
Sentinella di F. Brown: gli alieni siamo noi
Un brevissimo racconto di F. Brown (Sentinella, 1954) è esemplare di questo nuovo orientamento, il rovesciamento di prospettiva sull’alterità:
«Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella a cui era abituato, faceva d’ogni movimento un’agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia d’anni quest’angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arrivava al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo.
Come questo dannato pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce l’avevano sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia, … crudeli, schifosi, ripugnanti mostri.
Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie. Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo, e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi.
Ma i nemici tentavano d’infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all’erta, il fucile pronto. Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle. E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più. Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso, ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante, e senza squame» (Fredric Brown, Sentinella, in il Vagabondo dello Spazio,308 s.).
La sposa delle stelle
Un altro delicatissimo racconto che rovescia la prospettiva in merito alla alienità è La sposa delle stelle di A. Boucher in cui solo alla fine si scopre che lo sposo nostalgico, che canta le nostalgiche canzoni aliene del suo perduto amore (Saint Luis Blues, Come Back to Me), è un marziano dal corpo verde, e la sposa aliena era terrestre (A. Boucher, Storie del tempo e dello spazio, 201-206).
Questo rovesciamento di prospettive rappresenta un importantissimo passo avanti nella fantascienza, e sarebbe di fondamentale importanza anche nella storia reale dell’umanità spezzare l’etnocentrismo e riuscire a comprendere punti di vista diversi…