Lettura continua della Bibbia: Giovanni. L’Agnello di Dio: Agnello e Servo

Agnello e Servo
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Quando Giovanni vede venire – erchómenon – Gesù, esclama “Ecco l’agnello di Dio…” secondo la formula biblica di rivelazione e investitura (cfr. 1Sam 9,17; 10,1). Tale formula si ritrova anche, a mo’ di inclusione, nella formula di Pilato in 19,14: “Ecco il vostro re”. La prima presentazione e l’ultima che un personaggio del IV Vangelo fa di Gesù sono sicuramente della stessa importanza. Ma mentre per il tema della regalità di Cristo, la cui croce è il trono di gloria, non si presentano particolari problemi esegetici, per l’appellativo di “Agnello”, invece, ve ne sono, e molti.

Giovanni usa qui una formula la cui valenza cristologica, che non viene spiegata, doveva supporre già nota ai destinatari. Si tratta di un agnello “di Dio”, quindi appartenente a Dio, scelto da Dio, dato da Dio. Anche il compito dell’Agnello, presentato come esclusivo, appare essere un compito speciale che i lettori conoscono. Ma le interpretazioni sul significato cristologico di questa figura sono divergenti.

In questo contesto, pertanto, il titolo di Agnello di Dio si riveste di particolare importanza. Resta, tuttavia, incerto il suo significato preciso, come pure la sua origine. I padri latini lo comprendevano in riferimento all’agnello pasquale, i padri orientali invece in relazione al Servo sofferente di Is 53,7. Anche i moderni si rispecchiano fondamentalmente in queste due interpretazioni.

Agnello o Servo?

Pur essendo usata nell’Antico Testamento l’immagine dell’agnello, a nessuna persona vi si dà mai questo appellativo, e la formula Agnello di Dio è insolita.

In un suo studio del 1938, l’allora docente di lingua e letteratura ebraica Israel Zolli (nato a Brody in Ucraina il 17 settembre 1881; + Roma il 2 marzo 1956), futuro rabbino capo di Roma dal 1939 al 1945 (quando sceglierà di battezzarsi con il nome di Eugenio in segno di gratitudine per l’opera di papa Pacelli in favore degli ebrei durante la guerra), riconosceva che dei due appellativi di Gesù ricorrenti nel passo giovanneo (1,19-34) uno, quello di Figlio di Dio applicato al Messia, è sicuramente antico e originale, mentre l’espressione Agnello di Dio “suona insolita nella bocca di Giovanni Battista, in quanto che estranea al pensiero di Israele e inconciliabile con lo spirito della lingua ebraica e aramaica”( E. ZOLLI, Il Nazareno. Studi di esegesi neotestamentaria alla luce dell’aramaico e del pensiero rabbinico a cura di A. LATORRE, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009 (dall’edizione del 1938 del libro con lo stesso titolo di ISRAELE ZOLLI, per i tipi dell’Istituto delle Edizioni Accademiche, Udine), paragrafo “Talja (Agnus Dei)”, 263-268, 263).

Da che cosa, dunque, prende origine il titolo giovanneo? Normalmente, si fa riferimento all’agnello pasquale e/o al Servo sofferente di Is 53. Una soluzione molto conosciuta fu abbozzata nel 1909 da C.J. Ball, e poi da C.F. Burney nel 1922, secondo cui il termine greco usato nel nostro passo, amnós, sarebbe una cattiva traduzione dell’aramaico talya’, che significa sia agnello che servo.

Jeremias (J. JEREMIAS, Amnós, GLNT I, 917-925; Paîs Theoû, GLNT IX, 336-440) ha reso famosa questa teoria accettando la posizione di Burney: in questo modo si risolverebbe la difficoltà comportata dall’isolamento dell’allusione al titolo di Agnello, sostenendo anch’egli che Amnós è in realtà traduzione erronea dell’aramaico Ţalja’ corrispondente all’ebraico ‛ebed. Ţalja’ può infatti significare sia agnello che servo, dal che sarebbe nato in greco l’equivoco. In Giovanni, tra l’altro, la predicazione del Battista ha parecchi legami con il Libro della Consolazione del DeuteroIsaia.

Agnello e Servo

Altri studiosi pensano invece di poter accettare entrambe le immagini, fuse nella teologia giovannea, senza rinunciare all’una o all’altra. L’unione di due concetti, entrambi profondi, non ha niente di eccezionale in Giovanni.

Sulla stessa linea di pensiero era Eugenio Zolli, il quale, prendendo in esame la teoria di Ball – Burney – Jeremias, condivideva in pieno “l’idea che talja sia strettamente collegato al concetto di agnus Dei”, ma era in pari tempo persuaso che il traduttore avesse “assolto egregiamente il suo compito”, dato che “la funzione dei due concetti, «agnello e figlio (di Dio)», con riferimento a Cristo è più antica di ogni testo aramaico scritto al riguardo, e quindi anche più antica di ogni traduzione greca”. Asseriva:

“Noi siamo convinti che questa sintesi delle due idee è in certo qual modo più antica del cristianesimo stesso, che l’associazione si è compiuta, cioè, già nell’anima di Gesù”.

Non errore di traduzione dunque, né alternativa fra due concetti, ma, come avviene spesso in Giovanni, integrazione. Non Agnello o Servo, ma Agnello e Servo; e Zolli situava tale composizione già nella coscienza vivente di Gesù.