Il percorso ad ostacoli della fede di Abramo non conosce soste: il figlio della promessa non si vede ancora, e Sara si stanca di aspettare, dopo 10 anni di attesa. Abramo ha 85 anni, Sara 75. Vuole un figlio attraverso la sua schiava, Agar l’egiziana (cap. 16). Era prescritto già nel codice di Hammurabi che la padrona potesse generare un figlio attraverso l’unione del marito con la propria schiava: il neonato sarebbe stato legalmente suo a tutti gli effetti. Oggi si parlerebbe di maternità surrogata o di utero in affitto: una forma di procreazione che implica più di due genitori, ovvero il padre legale e biologico, la madre legale e la madre biologica. Con le tecniche odierne, i genitori implicati sotto vari aspetti potrebbero essere anche cinque: il padre e la madre legali, il donatore maschile e la donatrice femminile, la madre gestante.
Tensioni in famiglia
Il suo nuovo status di madre del futuro primogenito del padrone fa insuperbire Agar, che pretenderebbe di essere considerata alla pari con Sara (16,4), contrariamente a quanto prescriveva la consuetudine (attestata nel codice di Hammurabi): la schiava restava comunque tale nei confronti della padrona.
Indicativa la reazione di Sara: «L’offesa a me fatta ricada su di te! Io ti ho dato in braccio la mia schiava, ma da quando si è accorta d’essere incinta, io non conto più niente per lei. Il Signore sia giudice tra me e te!» (v. 5). Come se il povero Abramo ci avesse qualche colpa. Ribadisco che non è lui a prendere l’iniziativa, come sarebbe stato suo diritto nei confronti di una moglie sterile, ma quando si creano difficoltà tra le due donne, allora la colpa è di Abramo.
Tutto molto umano… anche perché Abramo non difende minimamente la schiava, la lascia in balìa della padrona. In effetti, la parola usata per designare Agar indica l’ancella personale della padrona, su cui nessun altro ha potere. E Sara esercita questo potere duramente, inducendola a fuggire. Una faccenda tra donne. Abramo qui non fa bella figura, disinteressandosi della sorte della donna da cui sta per avere, finalmente, un figlio.
La fuga di Agar
Ma non se ne disinteressa il Signore. Anche se il figlio della schiava non è il figlio della promessa, Dio gli assicurerà una grande storia. Agar lo viene a sapere quando, sconfortata, si avventura nel deserto per allontanarsi dalla padrona.
Genesi 16 7 La trovò l’angelo del Signore presso una sorgente d’acqua nel deserto, la sorgente sulla strada di Sur, 8 e le disse: «Agar, schiava di Sarai, da dove vieni e dove vai?». Rispose: «Vado lontano dalla mia padrona Sarai». 9 Le disse l’angelo del Signore: «Ritorna dalla tua padrona e restale sottomessa». 10 Le disse ancora l’angelo del Signore: «Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla per la sua moltitudine». 11 Soggiunse poi l’angelo del Signore:
«Ecco, sei incinta:
partorirai un figlio
e lo chiamerai Ismaele,
perché il Signore ha ascoltato la tua afflizione.
12 Egli sarà come un onagro;
la sua mano sarà contro tutti
e la mano di tutti contro di lui
e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli».
13 Agar chiamò il Signore, che le aveva parlato: «Tu sei il Dio della visione», perché diceva: «Qui dunque sono riuscita ancora a vedere, dopo la mia visione?». 14 Per questo il pozzo si chiamò Pozzo di Lacai-Roi; è appunto quello che si trova tra Kades e Bered. 15 Agar partorì ad Abram un figlio e Abram chiamò Ismaele il figlio che Agar gli aveva partorito. 16 Abram aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele.
Agar è solo una schiava che viene cacciata, ma è anche l’unica donna di tutta la Bibbia ad essere destinataria di una promessa simile a quella di Abramo. Di solito, la discendenza è considerata al maschile: è il padre che procrea una discendenza, non la madre, chiunque ella sia. Eppure, questa schiava beneficia della stessa promessa di Abramo; soltanto, la storia che le viene messa davanti non è la storia della salvezza, è un’altra storia, puramente umana. Dimostra tuttavia che Dio non è indifferente ad alcuno, ma sente il pianto di ogni creatura, su tutti si china con Misericordia e a ciascuno assicura un proprio posto nella vita.
L’angelo del Signore
Compare qui, per la prima volta nella Bibbia, la figura dell’angelo, che meglio sarebbe tradurre con messaggero, del Signore. La traduzione messaggero dà meglio conto del significato di questo nome, mal’akh, che non è nome di natura ma di funzione, designando semplicemente colui che porta un messaggio, senza riferimento ad una sua natura soprannaturale. Così pure in greco anghelos significa messaggero, mentre il latino distinguerà fra nuntius / messaggero e angelus / creatura spirituale.
L’angelo del Signore può essere semplicemente un essere umano, o può anche essere solo un modo di dire per evitare di menzionare direttamente Dio o un’apparizione diretta di Dio agli uomini. Solo progressivamente nella Bibbia si sviluppa un’angelologia, cioè una dottrina riguardante creature puramente spirituali che fanno da intermediarie, talvolta, fra Dio e gli uomini. Di pari passo, si svilupperà una demonologia, riguardante quella parte del mondo angelico ribelle a Dio e ostile all’uomo. Le ali che attribuiamo agli angeli sono solo simboliche, a rappresentare la prontezza e l’agilità con cui obbediscono alla volontà di Dio.