Abramo prega per Sodoma. La sua benevolenza per gli stranieri non si limita a quelli che viene a conoscere di persona: intercede anche per quelli che non conosce per niente.
Nel testo biblico diverse volte si racconta di come Dio annunci la sua intenzione di distruggere qualcuno a causa dei suoi crimini. In realtà, questa sua “intenzione” non è che un modo per insegnare in maniera drammatica e provocatoria la sua misericordia senza limiti.
L’indifferenza di Noè
La prima volta si verifica ai tempi di Noè, quando gli ordina di costruire l’arca per salvare sé e la sua famiglia dall’imminente diluvio. Secondo il Midrash, Dio sceglie modi e tempi lunghissimi prima di inviare il castigo, facendo costruire l’arca a Noè pubblicamente, perché la gente abbia la possibilità di vedere quel che sta succedendo e di convertirsi: il che non accadrà. Ma Noè si limita ad obbedire agli ordini senza dire una parola, con una completa obbedienza ma anche con quella che sembra un’indifferenza totale per i non appartenenti alla sua famiglia. Eppure la responsabilità di ogni essere umano riguarda tutto quello che ci sta attorno.
L’ostilità di Giona
Un caso limite si avrà con Giona, profeta che cerca di fuggire dalla presenza di Dio perché non vuole che gli stranieri si salvino per mezzo suo. Non è solo indifferente: è addirittura ostile al messaggio di salvezza che Dio vuole mandare a Ninive, la grande città cattiva. Dio gli impartirà una bella lezione, dimostrandogli quanto la sua misericordia sia senza confini – senza i confini, tra l’altro, che gli uomini vorrebbero imporgli.
L’intercessione di Abramo
Il caso opposto è quello di Abramo, con cui Dio parla per comunicargli che vuol distruggere gli abitanti di Sodoma e Gomorra. Abramo, a differenza di Noè, interviene per intercedere. E non prega solo per i giusti: chiede a Dio di risparmiare l’intera città, in grazia dei giusti che vi dimorano.
Abramo prega per Sodoma: La contrattazione
Lo fa in un modo rispettoso (si dichiara polvere e cenere davanti al Signore) ma testardo, intavolando una vera e propria contrattazione levantina, partendo da un numero esagerato per scendere al minimo accettabile da entrambi. E la contrattazione non è banale, perché su di essa pende una domanda: quanti giusti possono salvare una città?
Per la prima volta Abramo prende lui l’iniziativa, finora si è sempre limitato a rispondere e obbedire al Signore. Ma adesso la posta in gioco è troppo alta: non si tratta più soltanto di lui e della sua famiglia, ma di salvare una città, un mondo. Quella città, quel mondo non gli appartengono, non gli sono stati promessi, non rappresentano niente per lui. Eppure…
Per ben sei volte Abramo provoca Dio stuzzicandolo sul suo senso della giustizia, quasi circuendolo: «forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». La manovra è molto abile, presentando come un assurdo la distruzione della città causata dalla presenza in essa di soli cinque empi nonostante la presenza di ben quarantacinque giusti.
E la manovra riesce, alla fine: basterebbero dieci giusti a salvare un’intera città. È per questo che nel rito ebraico il myniam, cioè il quorum, il numero minimo di persone presenti richieste per una cerimonia pubblica, è proprio di dieci uomini adulti. Ma quei dieci, a Sodoma, non ci sono…
E noi, li abbiamo trovati dieci giusti che salvino il mondo? I profeti si accontenteranno di uno solo (Is 53, 5.10; Ger 5,1; Ez 22,30): ma quell’Uno, nell’antica alleanza, non si è trovato. È venuto infine nella pienezza dei tempi, quell’Uno che dà la vita per la moltitudine dei colpevoli, ma il mondo lo rifiuta ancora… e pensare che il mondo sussiste per mezzo di Lui.