«Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me, amici miei!». Giobbe sente il vuoto intorno a sé e si appella agli amici dopo il secondo intervento di Bildad.
Il secondo intervento di Bildad
Bildad riprende Giobbe per le sue “chiacchiere” (18,2-4): non vi è dubbio che ad essere punito e distrutto sarà l’iniquo. Lo aspettano rovina, terrore, morte (18,5-16). Anzi, dopo la morte non sopravvivrà neppure il ricordo di lui, perché non lascerà una discendenza, e tutti potranno comprendere quale sia la sorte dell’empio (18,17-21).
A onore di Bildad, possiamo notare che egli continua a difendere energicamente l’asserto tradizionale della retribuzione del giusto e della punizione del malvagio, ma evita di applicarlo direttamente a Giobbe anche se il riferimento implicito è evidente.
La replica di Giobbe (capitolo 19): «Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me, amici miei!»
Il sofferente inizia pregando gli amici di deporre la loro animosità nei suoi confronti (19,2-4): «Sono dieci volte [numero simbolico) che mi insultate e mi maltrattate senza pudore» (v. 3). Segue poi un lungo lamento (19,5-27), in cui Giobbe attribuisce a Dio l’origine di ogni sua sofferenza (19,5-8):
19,7 «Ecco, se grido contro la violenza, non ricevo risposta;
se invoco aiuto, non mi si fa giustizia.
8 Mi ha sbarrato la strada perché non passi
e sul mio sentiero ha disteso le tenebre.
9 Mi ha spogliato della mia gloria
e mi ha tolto dal capo la corona.
10 Mi ha disfatto da ogni parte e io sparisco,
mi ha strappato, come un albero, la speranza.
11 Ha acceso contro di me la sua ira
e mi considera come suo nemico».
È Dio il nemico che lo sta annientando, strappandogli dal cuore ogni speranza (19,9-12). La cosa è tanto più grave in quanto la solitudine di Giobbe è totale, attorno a lui si è creato il vuoto (19,13-16), tutti hanno disgusto di lui, anche la moglie e i parenti più stretti (19,17-20). Questo senso di abbandono culmina in un appello angoscioso: «Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me, amici miei», non accanitevi contro di me con i vostri ragionamenti! (vv. 21-22). Quel che Giobbe desidera non è l’oblio degli altri, ma che la sua testimonianza, la sua affermazione d’innocenza possa rimanere in modo indistruttibile almeno per i posteri (vv. 23-24).
Giobbe non teme il giudizio dei posteri, infatti, perché può affermare:
25 «Io so che il mio redentore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
26Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,
senza la mia carne, vedrò Dio.
27Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
E allora ci chiediamo: Giobbe crede nella vita eterna? La risposta nel prossimo articolo.