25 aprile. San Marco Evangelista e Martire

San Marco evangelista. Di Emmanuel Tzanes – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=23718141

In Italia il 25 aprile è noto per essere festa civile, e passa in ultimissimo piano la festa religiosa, quella dell’evangelista San Marco.

Si suppone che sia nato verso l’anno 20 e sappiamo che era cugino dell’apostolo Barnaba; sappiamo anche che aveva un nome ebraico, Giovanni, ed uno romano, Marco, e che sua madre si chiamava Maria ed aveva una casa nei pressi di Gerusalemme in cui si radunava la comunità apostolica. Seguì Paolo nella sua predicazione, e dopo varie vicende lo ritroviamo a Roma con Pietro e Paolo. La tradizione lo vuole fondatore della chiesa di Alessandria d’Egitto e martire. A lui, “interprete di Pietro” come lo chiama Papia di Gerapoli all’inizio del II secolo, è dovuta la stesura del Secondo Vangelo.

Un dettaglio curioso

Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di una sindone sul corpo nudo, e lo fermarono. Ma egli, abbandonata la sindone, fuggì via nudo (Mc 14,51-52).

Il Vangelo secondo Marco è l’unico a riportare un curioso particolare nella scena dell’arresto di Gesù; dopo che i discepoli sono fuggiti, un anonimo giovinetto continua a seguirlo (tempo imperfetto: azione che continua) con il corpo avvolto solo da una sindone (attenzione: la sindone non è un lenzuolo, è un tipo pregiato di stoffa che può essere usato per vari scopi). Qualcuno afferra il giovinetto, ma egli lascia la sindone nelle mani degli inseguitori e fugge via nudo.

I commentatori, antichi e moderni, hanno dato moltissime interpretazioni per identificare il giovinetto in questione, moltissime fasulle. Io, in relazione all’episodio marciano della scoperta del sepolcro vuoto, ritengo che l’anonimo giovinetto sia simbolo del Discepolo che segue Gesù nella Passione e che, come Lui, fuggirà libero dalle grinfie della morte, abbandonando la sindone ormai inutile. Questo non esclude che nel giovinetto si possano ravvisare i lineamenti di Giovanni – Marco, quasi come firma criptica di un’opera non altrimenti firmata.

Nell’omelia che leggerete qui di seguito, invece, don Enzo abbraccia l’ipotesi che San Marco sia fuggito per paura: ipotesi lecita. Afferma anche che poi San Marco facendo esperienza della Resurrezione vinse questa paura, dando la vita per il Vangelo: bellissimo. A commento di questa sconfitta della sua umanissima paura, mi permetto di ricordare che il simbolo di San Marco evangelista è niente meno che il leone…

San Marco Evangelista – Anniversario della Liberazione

Omelia di don Enzo Greco, Mercoledì 25 Aprile 2012

Marco 16,19. Di Andreas F. Borchert, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10974976

Dal Vangelo secondo Marco 16, 15-20
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

25 aprile. San Marco evangelista e martire

Cavalier d’Arpino (Giuseppe Cesari, 1568 – 1640), L’arresto di Gesù. Sulla sinistra si vede un giovinetto, identificabile con San Marco, con il corpo avvolto da una sindone, mentre si cerca di catturarlo. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15441757

Celebriamo oggi la festa di S. Marco evangelista. Sappiamo dalla tradizione evangelica che un giovinetto, probabilmente S. Marco, durante la Passione di Gesù nell’orto del Getzemani, quando i soldati vennero per catturare Gesù, si trovò lì, avvolto in un lenzuolo e nell’atto di fuggire via, per non essere associato alla morte di Cristo, fu tirato per il lenzuolo e rimase nudo. Solamente dopo la Resurrezione scoprì il grande ideale del vangelo e morì martire. Ecco perché  i paramenti sacri del sacerdote, oggi, sono di colore rosso, per commemorare  il martirio di S. Marco evangelista.

Quindi le analogie con la giornata di oggi sono tantissime: ricordiamo sia la realtà della nostra patria italiana, sia la realtà del sacrificio nel sangue, a causa del Vangelo, di S. Marco e, il più grande sacrificio, che è quello di Cristo che ricordiamo nella Messa.

La Chiesa italiana e quindi anche Follonica,  si inserisce nel solco della storia della propria patria e alla luce del vangelo riflette, prega, celebra, questo avvenimento: un interrogativo nasce di fronte alle guerre, e in questo caso di fronte a quello che è accaduto in Italia attraverso la dittatura, attraverso l’oppressione della guerra, attraverso tanti martiri che in paesi italiani, anche qui vicino a noi, hanno perso la vita per la libertà del nostro paese e per i diritti umani.

Come si può riflettere alla luce del vangelo questo avvenimento?  Il vangelo che  vuol dire «lieta notizia»,  «notizia di salvezza» ci pone di fronte ad un interrogativo enorme: perché c’è il male?

Perché c’è il male?

Bundesarchiv, B 285 Bild-04413 / Stanislaw Mucha / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 de, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5337694

Quando  mi recai, insieme ad altre persone nel 1998  in Polonia  a visitare i campi di concentramento di Auschwitz e Birchenau, alcuni  posero con sofferenza la domanda: perché c’è il male?

Auschwitz e Birchenau

Lì, in quei luoghi,  si vedeva benissimo che cosa era successo, lo sterminio gratuito, assurdo, una razionalità impazzita da parte di quel popolo che aveva filosofeggiato e poi attuato lo sterminio di massa, e mentre camminando calpestavamo il campo di Birchenau ci risuonava dentro quell’interrogativo terribile: perché il male? Perché l’uomo arriva a tanta aberrazione? Soprattutto quando la guida ci spiegava come avveniva la tortura, alcune delle persone che erano con me si sentirono male  e non poterono restare ulteriormente nel campo.

Contemporaneamente notai tanti giovani, e non riuscivo a capire di dove provenissero. Uno di loro mi disse che erano ragazzi e ragazze che venivano da Israele. Il loro stato paga questa gite per ricordare i loro antenati ebrei sterminati nella Shoah, la grande strage, il grande bagno di sangue perpetrato dai nazisti.

L’interrogativo che risuonava in quei posti era ancora quello: «perché il male, perché l’uomo arriva a tanto?».

Era l’interrogativo che anche Primo Levi, nel suo famoso libro «Se questo è un uomo», si pose. Il vangelo risponde che il male è una condizione che è dentro di noi e fuori di noi; se ci guardiamo attentamente dentro interiormente ci sono sentimenti di guerra, di odio, di contrapposizione; il vangelo, in una dimensione molto universale, ci aiuta a ripulire dentro la mente e il cuore i sentimenti negativi. Anche Freud tentò nella psicanalisi  di capire tutto ciò e verso il finire della sua attività scoprì che nell’uomo non c’è solo la pulsione che lo dirige al piacere, ma anche la pulsione che lo dirige alla morte, alla distruzione. Qui.

Perché, dunque c’è il male, perché dentro di noi abita questa realtà? Anche noi spesso ci scopriamo dei potenziali mostri.

Vangelo: il progetto di liberazione dal male

Oggi ricordiamo il male che c’è stato in Italia: le lotte fratricide, la guerra, l’oppressione straniera, tante famiglie che hanno pianto di dolore per riuscire a conquistare la libertà, per demolire tutte le impalcature che erano state messe per opprimere l’uomo, e affermare i diritti dell’uomo.

Oggi vogliamo ricordare i martiri i cui nomi sono stati scritti su questa lapide, ma vogliamo anche ricordare tutte le piazze d’Italia con le lapidi dove sono impressi i nomi dei caduti. L’interrogativo a cui il vangelo risponde è questo: dal male bisogna essere liberati da Dio, dobbiamo accogliere la liberazione che Dio ci dona dal male; il male potrà sempre vincere, dentro di noi e fuori di noi, ma dobbiamo sapere che il vangelo è il progetto di Dio per la liberazione dell’uomo dal male.

Se non si libera l’uomo dal male, si possono creare delle strutture, ma queste non garantiscono mai il tutto della liberazione dell’uomo.

Lettura del tempo e investimento dell’esistenza

Marc Chagall, Exodus. Fonte immagine: https://wikioo.org/it/paintings.php?refarticle=8XYH7L&titlepainting=esodo&artistname=Marc+Chagall

Vogliamo  quindi  ricordare che il Cristo sconfitto, il Cristo morto e risorto con il suo sacrificio ha sconfitto la logica dell’egoismo, la logica del male. Tutto questo è diventato propositivo per noi, tant’è che tra poco lo mangeremo nella comunione perché anche la nostra vita diventi un sacrificio personale per una società migliore. È questa dimensione che dobbiamo vivere dentro di noi.

La giornata di oggi è forse lontana dalle nuove generazioni, per loro è preistoria, quasi come  l’esistenza dei dinosauri, perché la realtà storica che stiamo commemorando è spesso sconosciuta e quindi  lontana dal vissuto dei giovani di oggi.

Ma il vangelo di oggi ci invita a fare una lettura del tempo, ci invita a leggere il tempo in maniera tridimensionale perché, se non si legge così, tutti gli avvenimenti, la Messa che sto celebrando, il ricordo del 25 aprile, rimangono sepolti nel passato. Anche noi se non viviamo in maniera tridimensionale o viviamo di nostalgia o facciamo come i giovani: viviamo unicamente il presente.

C’è il passato, noi abbiamo un passato e oggi ricordiamo che cosa è avvenuto, ma quello che è avvenuto sessantasette anni fa, come riguarda noi oggi nella nostra storia, cosa ci propone? Io direi che alla luce del vangelo ci propone questo: senza l’investimento della propria vita, senza il sacrificio della propria esistenza, non si ha un futuro nuovo: questa è la scommessa!

La levatrice della storia

È stata rammentata nel memoriale della resistenza anche la classe politica attuale, mi scusino quelli che fanno politica, anche il clero è spesso sotto accusa, quindi…. Il popolo accusa la classe politica, senza fare generalizzazioni, di non darci dentro la vita come dono, come ideale, ma di darci soltanto i propri interessi, non  l’ideale, la passione, il dare la vita per una nazione nuova, per un mondo nuovo. Ecco che allora la lettura che dobbiamo fare è che il sacrificio sia la levatrice della storia.

Ricordando il passato, oggi ci proiettiamo nel presente, il nostro oggi e noi abbiamo la promessa di un futuro nuovo partendo dal fatto che quello che facciamo nella Messa, il sacrificio di Cristo, diventa nutrimento per noi, diventa una realtà viva che ci interpella.

«Oggi» noi siamo liberati

Concludendo questa mia riflessione vorrei cogliere, scusate un po’ di esibizione nozionistica, che la parola «memoria» in italiano è insufficiente per dire il giorno di oggi perché in italiano non abbiamo espressioni simili.

Memoria e memoriale

Memoria in italiano vuol dire «ricordo di un evento passato» che non ci interpella più. C’è un’ espressione nel linguaggio ecclesiastico che si chiama MEMORIALE e non memoria, è la traduzione di una parola ebraica molto bella, «zikkaron»; infatti nella lingua ebraica non esiste memoria, esiste memoriale; vuol dire che un evento passato è come se fosse fuori dal tempo e dello spazio e diventa l’«OGGI». Nella lingua ebraica si dice «ha-yyom», «oggi», e non si usa il tempo passato: «OGGI NOI SIAMO STATI LIBERATI», non ieri siamo stati liberati.

La sfida dell’Oggi

Sarebbe bello che nei discorsi ufficiali il 25 aprile e in altri avvenimenti ufficiali, venisse detto: «Oggi noi siamo stati liberati»  così come si dice nella liturgia ebraica, la lingua di Gesù. Questo per far capire che il sacrificio del passato, che è il sacrificio di tante persone per una Italia migliore e più libera, diventa il nostro oggi, e oggi celebriamo ciò che è, non ciò che è stato, ma ciò che ancora è. Oggi è una sfida che noi dobbiamo accogliere, perché senza sacrificio dell’offerta della propria vita non si può arrivare a niente, a una patria migliore, a una società migliore; e io spero che nella Messa che celebriamo, «l’oggi di Gesù Cristo», il memoriale, sentirete che ci interpella tutti, è l’oggi della chiesa, l’oggi della società.

Infine, ricordiamo i nostri cari defunti, morti per l’ideale della libertà, ricordando che per noi credenti con la morte non finisce tutto. Se non s’inserisce tutto in un orizzonte trascendente che va oltre la storia, la vita – voi mi capite – è dura: c’è la morte e poi c’è la fine, lo sprofondamento nel nulla e ci rimane soltanto il ricordo dei presenti.

Ma di coloro che sono morti per una patria migliore, noi credenti diciamo: «Se Cristo è risorto essi vivono nella patria liberata, nel Paradiso dei cieli, dove vivono per sempre, dove fugata ogni lacrima vivono e anche noi vivremo in Dio».