
Gli oracoli di Isaia 49 si possono suddividere in due sezioni:
a) vv.1-13: 2° Canto del Servo, chiamato a ricondurre Israele al Signore ed a portare la salvezza fino agli estremi confini della terra, anche se attualmente disprezzato e rifiutato.
b) vv.14-26: Dio risponde ai timori di Sion.
2° Canto del Servo (Isaia 49,1-13)
L’inizio del 2° Canto del Servo si presenta, in prima persona, come un racconto di vocazione (49,1-6). Come in 42,1-4, il chiamato è appellato Servo del Signore e la sua missione è estesa a tutti i popoli. Le immagini della spada affilata e della freccia appuntita esprimono tutta la forza, la portata e l’efficacia della Parola di Dio che il Servo è chiamato a portare alle genti.
Qui si presenta però un problema di identificazione: nel v. 3, infatti, il Servo riceve l’appellativo di Israele. È, dunque, una figura collettiva per simboleggiare il popolo di Dio? Questo sembra da escludersi, perché nel v. 5 il Servo deve compiere una missione nei confronti di Israele: nessuno può essere inviato a se stesso, perciò i due soggetti devono perciò essere diversi.
Si tratta, probabilmente, di una antica glossa, un’aggiunta dovuta ad una rilettura tardiva: manca in un manoscritto dei LXX, ma si trova in quasi tutti i codici, sia nel testo masoretico che nel manoscritto di Qumran (II-I secolo a.C.). In tal caso l’aggiunta è la più antica testimonianza dell’interpretazione collettiva del Servo di Dio.
Se, invece, vogliamo intendere l’appellativo Israele come facente parte del testo originario, allora il senso sarebbe che il Servo Sofferente, come individuo, incarna in sé quel vero Israele che il popolo di Dio storicamente non ha saputo essere. Ino ogni caso, questo appellativo testimonia la fondamentale ambivalenza dei Canti del Servo, che tendono ad esprimere insieme il ruolo del popolo e il ruolo di un suo membro eminente, sia egli principe, sacerdote o profeta
La sofferenza del Servo
Sotto il profilo della sofferenza mediante la quale il Servo compie la propria missione, i quattro canti sono disposti come in crescendo. Nel primo canto veniva in luce il tono sommesso e mite del Servo nello svolgere il proprio compito; adesso, il 2° Canto del Servo parla di vuoto, mancanza, soffio (v. 4):
«Invano ho faticato,
per nulla e invano ho consumato le mie forze.
Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,
la mia ricompensa presso il mio Dio».
Rîq / vuoto, tohû / mancanza di forma (è la qualità della materia primordiale in Genesi 1,1), hevel / vanità (è la parola preferita del Qoheleth) descrivono, nella missione del Servo, il fallimento della sua missione; ma egli si fa forza ugualmente, confidando in Dio. La sua debolezza è compensata dalla potenza di Colui che lo invia. Infatti al Servo viene affidato un compito ancora più grande: quello di diventare luce delle nazioni.
I vv.7-12 costituiscono un annuncio di salvezza, per la restaurazione della terra e la liberazione dei prigionieri (vv. 8-9), accompagnate dal giubilo di tutto il creato.
Dio risponde ai timori di Sion (49,14-26)
Israele che si crede abbandonato e dimenticato da Dio, ma il Signore non cessa di pensare a Gerusalemme, la restaurerà e la ripopolerà (14-20). Usa, per esprimere la sua cura, l’immagine dell’amore materno:
15Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
La città vedova, sterile, tornerà piena di figli inattesi, tanto che non troveranno più spazio tra le sue mura. Dio le renderà i suoi figli, di cui le nazioni avranno cura (21-23).
Dio abbatterà i tiranni e salverà i suoi figli (24-26) Così tutti i popoli della terra riconosceranno che il Signore è l’unico Salvatore.